di Stefano De Cristofaro
Avrà pure avuto un carattere difficile, ma una cosa è certa: Tonino Impullitti ha fatto la storia del campionato abruzzese di Eccellenza. E per una ragione semplicissima, essendo stato il primo, in assoluto, ad aggiudicarselo, nel lontano 1992: anno di nascita del massimo torneo dilettantistico regionale.
Il tutto, per giunta, alla guida di una squadra molisana, ovvero il Termoli, ammesso eccezionalmente in quella prima edizione.
Ma non basta, perché il buon Tonino fu capace di bissare l’impresa, centrando il salto di categoria anche nella stagione successiva, sulla panchina del Nereto, suo paese natale.
Doveroso quindi che sia proprio lui ad inaugurare una rubrica dedicata ai ricordi del passato. Rubrica che si prefigge una duplice finalità: suscitare un pizzico di nostalgia in chi quelle annate le ha vissute (da diretto protagonista o da semplice spettatore), facendo al contempo conoscere, ai più giovani, storie e uomini e qualche donna di un calcio che non c’è più.
Nato a Nereto il 27 gennaio 1953, Impullitti è stato anche un prolifico attaccante (oltre cento i gol al suo attivo), che dopo le prime esperienze nella locale squadra del Nereto (Promozione), si trasferisce nelle file del Montorio di Carlo Florimbi (Promozione), per poi vestire, nell’ordine, le maglie di Santegidiese, Alba Adriatica e Mosciano, con due promozioni all’attivo tra Prima categoria e Promozione, all’epoca equivalente all’attuale Eccellenza.
Nel 1988 il passaggio dal campo alla panchina, alla guida del Sant’Omero, con cui vince, al secondo anno, il campionato di Prima categoria, aggiudicandosi lo spareggio contro il Morro d’Oro.
Termoli e Nereto, in Eccellenza, Santegidiese in Quarta serie (al posto di Aldo Ammazzalorso), Pineto (sempre in Quarta Serie), Celano (in Eccellenza, con un secondo posto finale alle spalle della Pro Vasto dei record), Mosciano (Interregionale), Santegidiese (Under 18) e di nuovo Mosciano (Promozione), nel 2011: queste le successive tappe di una carriera breve ma intensa, essendo stata caratterizzata da tre campionati vinti e altrettanti esoneri.
“Per diverso tempo ho atteso di essere chiamato da qualcuno, ma non essendo il tipo che si propone ai presidenti, in assenza di opportunità gradite ho preferito dedicarmi a tempo pieno alla professione di insegnante di educazione fisica”, spiega in avvio mister Impullitti, in pensione dal 2016.
“Mi godo la famiglia – sottolinea – e faccio scorpacciate di partite. Davanti alla tv o, quando capita, allo stadio. Sono milanista e mi considero un malato di calcio, anche se quello dilettantistico lo seguo un po’ meno”.
L’INTERVISTA A TONINO IMPULLITTI
Trenta anni fa la prima, storica, promozione in Quarta Serie con il Termoli. Che ricordi ha di quell’annata così speciale?
“Ovviamente bellissimi, essendo riusciti a spuntarla ai danni di un avversario altrettanto forte e ambizioso: la Renato Curi di Cetteo Di Mascio. 4-4-2 lo schema preferito, con Cosco (il compianto ex mister della Vastese, ndr) e Parisi sulle corsie esterne e una linea mediana formata da Bellomo, Carpineta, Buonamano e Fazzano, alle spalle di Cau e Gerace, e con Miele quale loro prima alternativa. Ricordi davvero tanti, anche se non tutti belli”.
Come mai?
“Per l’improvvisa morte del nostro bomber, Mimmo Gerace, avvenuta subito dopo l’ultima di campionato e a seguito di un incidente stradale. Fu per tutti una tremenda mazzata, che offuscò di colpo la gioia per la promozione appena ottenuta”.
L’anno dopo il bis, sulla panchina del Nereto…
“Al termine di uno splendido ed entusiasmante testa a testa con il Mosciano di Domenico Di Pietro (che curiosamente è l’attuale allenatore del Nereto, ndr), anche se in realtà quel campionato si decise il 25 aprile 1993 alla quart’ultima giornata e in occasione dello scontro diretto, disputato a Nereto davanti a 3500 spettatori. Eravamo dietro di loro di una lunghezza e battendoli per 1-0, grazie a un gran gol di Breglia, li scavalcammo in classifica e vincendo le restanti tre gare riuscimmo a mantenere sino alla fine il +1 e a chiudere in testa la stagione”.
Qualche nome di quella squadra?
“Sperando di non fare un torto a tutti gli altri, i primi che mi vengono in mente sono Angelini, De Cicco, Ciarrocchi e Castelli in difesa, Nardini, Vagnoni e il compianto Rasicci a centrocampo, Breglia e Troiani in attacco. Una squadra costruita per il salto di categoria ma protagonista di un avvio un po’ in sordina e dunque al di sotto delle aspettative della vigilia. La piazza mugugnava e il primo ad essere messo in discussione fui proprio il sottoscritto, che si mise subito a disposizione del club. Incassata la fiducia, iniziammo maluccio anche il girone di ritorno e dopo la quinta sconfitta stagionale il presidente di allora, Bruno Baldini, continuò a difendermi a spada tratta, creando di fatto i presupposti per la successiva rimonta. La squadra infatti vinse tutte e quattordici le gare successive, approdando trionfalmente nella categoria superiore».
Dal passato al presente, quanto è cambiato il calcio dilettantistico rispetto ad allora?
“C’è un vero abisso, soprattutto a causa della minore disponibilità economica. Tale da costringere la gran parte delle società a fare di necessità virtù, a tutto scapito del livello di gioco. Che ritengo nettamente inferiore rispetto a prima, anche se non mancano le partite spettacolari”.
A proposito, è appena iniziata l’edizione numero trentadue del campionato di Eccellenza. Un suo pronostico riguardo all’epilogo finale?
“Da quel che leggo la candidata numero uno dovrebbe essere L’Aquila ma mi intriga parecchio il Giulianova, che ha fatto molto bene nella passata stagione. Il mio Nereto? La vedo dura, avendo avuto parecchie difficoltà ed essendosi mosso in notevole ritardo. Ovviamente faccio il tifo per i rossoblù e appena posso li andrò a vedere dal vivo assai volentieri».
Nostalgia di quel periodo?
“Certo, essendo stato esso parte integrante della mia vita. Avrei potuto sicuramente fare di meglio ma il mio carattere, non facile, ha finito col prevalere sulle doti tecniche, che pure mi sono state riconosciute. Insomma, per farla breve, nell’ambiente mi venne affibbiata l’etichetta, peraltro meritata, di gran rompiscatole, e questo non favorì di certo la mia carriera da allenatore. Evidentemente doveva andare così ma non ho assolutamente rimpianti, visto che le mie belle soddisfazioni sono riuscito ugualmente a togliermele…».