di Stefano De Cristofaro
Una vita per il calcio. Sembra una frase fatta e invece si addice alla perfezione alla “storia” di Sante Occhiuzzi, uno (se non il primo assoluto) dei giocatori più longevi ancora in attività nell’ampio panorama dilettantistico del football abruzzese.
Nato ad Avezzano il 10 aprile 1968 l’atleta in questione ha, numeri alla mano, da poco superato i cinquantacinque anni: un’età in cui, chi è nel calcio, svolge solitamente altre attività. Da dirigente o da allenatore. Lui no. Lui preferisce continuare ad allenarsi per farsi trovare pronto, la domenica, nel caso in cui il mister di turno (spesso più giovane di lui) decidesse di impiegarlo. Dall’inizio o a partita in corsa fa lo stesso.
«Non so cosa sia la stanchezza» – sottolinea con orgoglio – «così come sarebbe sbagliato parlare di sacrifici, perché quando intraprendi qualcosa animato da un’autentica passione lo fai con gioia: il primo come l’ultimo anno. Potrei rinunciare a mangiare ma non riesco a stare senza allenarmi, tant’è che anche quando la stagione è ferma, non rinuncio mai alle mie tre/quattro sedute di lavoro settimanale».
Par di capire che intende continuare a giocare anche la stagione prossima. «Per me non esiste un’ultima stagione. Finché starò bene e ci sarà qualcuno che mi offre la possibilità di allenarmi e giocare con la sua squadra, non mi tirerò indietro, non fosse altro che per mettere a disposizione degli altri il mio bagaglio di esperienza».
Bagaglio peraltro assai pesante, se si considera che quella appena andata in archivio, nelle file dell’Ortigia, è la sua trentottesima stagione agonistica di fila. Una carriera iniziata by-passando il settore giovanile, se è vero che a soli diciassette anni Sante esordiva nella squadra maggiore della Pro Calcio Avezzano (in Prima categoria) contribuendo alla promozione. La prima delle undici complessivamente conquistate, tra Avezzano (due volte, in Promozione), Oricola (Promozione), Luco Calcio (Eccellenza), Valle del Giovenco (Eccellenza), San Nicola Sulmona (altra doppietta, in Prima categoria e Promozione), Sulmona (Promozione, col record dei punti), e Luco (Prima categoria).
In mezzo, anche una fugace esperienza nel calcio a cinque, risalente alla stagione 1998/1999: in serie A col Queens Avezzano e ben trenta reti all’attivo.
Niente male per uno che nel corso degli anni ha più volte cambiato ruolo: da seconda punta a trequartista, per poi trasformarsi in mezzala prima e centrocampista centrale ora. Ruoli in cui comunque non ci si può risparmiare e lui non fa di certo eccezione, se si pensa che appena un anno fa, ovvero a cinquantaquattro anni suonati, ebbe modo di totalizzare venticinque presenze, saltando una sola gara. Sempre ad Ortucchio (Prima categoria), dove, tra partite da titolare o subentrante, quest’anno è arrivato a quota quindici.
Dipendente pubblico (presso il settore tributi del Comune di Avezzano), Occhiuzzi non ha ancora un’idea precisa di cosa fare una volta appese le scarpette al chiodo. «Come detto la mia intenzione è quella di continuare a giocare, ma quando sarà il momento non mi dispiacerebbe curare la parte atletica. Cosa che peraltro mi è già capitato di fare, avendo un titolo in educazione fisica, conseguito all’Isef. Diciamo insomma che mi vedrei bene nel ruolo di collaboratore tecnico che si occupa della preparazione atletica: degli altri ma anche mia».
Tra le decine di ricordi di una carriera lunghissima, quale il più bello? «In assoluto direi la stagione di Eccellenza vissuta nelle file della Valle del Giovenco. Disputata da mezzala, ruolo che mi valse una nomination tra i migliori di quel campionato. Chiuso con la promozione in serie D (tramite play off, ndr), accanto a compagni di squadra del calibro di Ferreira, Arcamone, Aureli, Meo, Ciurlia e tanti altri».
Non saranno mancati nemmeno gli episodi brutti… «Ovviamente, a cominciare dalla feroce aggressione patita, dal sottoscritto e dalla squadra (il Luco, ndc) a Caserta. Dove, tra il primo ed il secondo tempo fummo, come detto, aggrediti e minacciati a scopo chiaramente intimidatorio. Risultato? 2-2 finale con una mia doppietta. Gli altri sono invece relativi a gestioni societarie da dimenticare, essendosi rivelate praticamente assenti. Mi riferisco a quella del Ripa Teatina, nel 2008 e, più di recente, ovvero nel 2020, col Tossicia, dove rimasi solo un mese: il più brutto, per come mi trattarono dopo avermi cercato con insistenza, della mia intera carriera».
La persona alla quale è più legato, in ambito strettamente calcistico? «In trentotto anni di attività ho conosciuto tantissime persone, con molte delle quali conservo tuttora solidi rapporti di amicizia. Se devo però indicarne specificamente qualcuna dico Aleandro Scafati e Fabrizio Giovarruscio, anche per i rapporti instaurati, al di fuori del calcio, con le rispettive famiglie».
Ad oggi, quanto è cambiato il calcio dilettantistico abruzzese? «Tralasciando questioni di natura tecnico-tattica, la cosa assai diversa rispetto ai miei tempi riguarda le strutture. Prima si giocava soprattutto su campi in terra battuta e quelli in erba naturale costituivano un’eccezione mentre oggi sono la regola, per non parlare dei moderni terreni in sintetico. Giocare potendo disporre di impianti simili dovrebbe essere un ulteriore incentivo alla pratica calcistica, per cui non mi spiego l’attuale svogliatezza o, peggio ancora, il disinteresse di alcuni giovani».
Un’ultima curiosità: potesse tornare indietro c’è qualcosa che non rifarebbe? «Dalla vita ho avuto tanto, e non solo dal punto di vista prettamente calcistico: un bel posto di lavoro, una famiglia stupenda (composta dalla moglie Roberta e dalle figlie Sofia e Valeria, ndr), che mi ha sempre supportato e “sopportato” in tutto ciò che ho fatto. Ho però un unico, piccolo rimpianto: quello di non aver giocato, nemmeno per un minuto, tra i Professionisti». Mai dire mai, caro Sante…