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STORIE DI CALCIO puntata n.22 – SERGIO PALMIERI, OLTRE MILLE GARE TRA I PALI… E NON È FINITA QUI!

di Stefano De Cristofaro

 

Sessant’anni e non sentirli.

Sono gli anni compiuti il 24 settembre scorso da Sergio Palmieri, portiere in forza alla Virtus Serena Life, formazione militante nel girone pescarese del campionato di Terza categoria.

Palmieri, nato a Napoli ma residente a Pescara, dove lavora (come impiegato delle Poste Italiane) e ha messo su famiglia, sposando la lituana Aleksandra Mikutaviciene, dalla cui unione sono nati Marco e Roberta, ha iniziato a giocare a calcio all’età di sedici anni e da allora non ha più smesso, arrivando a totalizzare più di mille partite ufficiali e una quarantina di campionati, trentacinque dei quali da titolare, compreso l’attuale.

Caso se non unico, quanto meno raro, dato che i pochi che a quell’età invece di portare a spasso i nipotini, se proprio decidono di proseguire l’attività agonistica, lo fanno in ruoli da comprimari, o poco più.

Non è certo il caso di Palmieri il quale, giusto per far capire di chi stiamo parlando, non si limita a difendere ogni domenica i pali della porta della sua squadra, ma raramente salta un allenamento infrasettimanale.

“Il motivo” – spiega – “è semplicissimo: ho bisogno di allenarmi altrimenti il fisico ne risente, senza contare che ciò che fai durante la settimana poi lo trasmetti in partita ai tuoi compagni di squadra”.

Oltre quarant’anni di attività alle spalle, divisi tra Nord (Piemonte) e Sud (Campania) fino al definitivo approdo in Abruzzo.

Tantissime, come detto, le partite disputate, e altrettanto numerose le maglie indossate, a cominciare da quella della Viribus Unitis: vestita a soli sedici nel campionato di Seconda categoria.

A seguire, Nola (Interregionale), Casavatore e Sangiuseppe Vesuviano (Promozione), nelle cui file vince il campionato prima di trasferirsi (per motivi di lavoro) in Piemonte dove, tra Eccellenza e Promozione, collezionerà altre quattro vittorie di campionato vestendo le maglie di Moncalieri, Nichelino, Candelo, Valdengo, Cossato, Santhià e Alice Castello.

Quanto alla successiva esperienza abruzzese, vissuta tra Prima, Seconda e Terza categoria difendendo i colori di Miral, Verlengia Calcio, Gioventù Viva, Madonna della Pace, Villa Carmine (campionato vinto), Angelese, Atletico Francavilla, Real Montesilvano (campionato vinto) e, da ultimo, Virtus Serena Life.

 

Domanda d’obbligo: a cosa deve la sua scelto di giocare in porta?

“A parte che quello del portiere è un ruolo che mi ha sempre affascinato, correre non mi è mai piaciuto per cui sin da piccolo mi sono piazzato tra i pali e da lì non mi sono più mosso”.

Ha una squadra del cuore, tra le tante in cui ha giocato?

“Citarne una vorrebbe dire fare un torto a tutte le altre e non me la sento, anche perché, e sono sincero, mi sono trovato bene ovunque sono andato, avendo avuto la fortuna non solo di vincere una decina di campionati, ma anche di allacciare tantissime amicizie”.

Nell’arco di quasi mezzo secolo il suo ruolo ha subito grandissimi mutamenti, anche a livello di regolamento. Come li ha vissuti?

“Adeguandomi ad essi e accettandoli sempre con spirito propositivo, ovvero cercando di assecondare appieno il famoso detto secondo cui “non si finisce mai di imparare”.

Come giudica la recente e tanto decantata “costruzione dal basso”, legata al ritorno in auge del retropassaggio volontario al portiere?

“Come detto, in modo positivo, nel senso che la giudico una novità funzionale al miglioramento del gioco. Certo, molto dipende poi dalle categorie e, soprattutto, dai piedi. Del portiere come degli altri atleti”.

L’avversario che le ha dato più grattacapi?

“Di avversari scomodi ne ho avuti ovviamente tanti, visto l’elevato numero di partite disputate, ma se proprio devo citarne qualcuno faccio due nomi: il primo è quello di Mario Liberati, un napoletano che giocava a Torre del Greco e la cui riserva, nella Primavera del Napoli, era un certo Ciccio Baiano, giusto per far capire il livello del giocatore. L’altro invece risale ai tempi in cui giocavo in Piemonte, nel biellese, e c’era un certo Torromino, di lì a breve passato a giocare tra i Professionisti”.

Il ricordo più bello, tra i tanti?

“Di sicuro il mio esordio da titolare, a sedici anni, e poi una partita di play off disputata con l’Alice Castello (Promozione piemontese, ndr), nella quale parai di tutto, compreso un rigore, sullo 0-0”.

A proposito è vero che è uno specialista dal dischetto?

“Sì, nel senso che in trentacinque anni da titolare ne avrò neutralizzati un centinaio, quattro dei quali la passata stagione”. Ovvero a cinquantanove anni…

Certo non deve essere facile ritrovarsi a fare da secondo a un sessantenne: i suoi concorrenti nel ruolo cosa ne pensano?

“A questa domanda è difficile rispondere, perché immagino sia dura per chi sta in panchina accettare il fatto che io voglio giocare, ma ho buoni rapporti con il mio compagno di squadra che cerco sempre di spronare, affinché si faccia trovare pronto quando capiterà l’occasione”.

Semmai capiterà….

“In effetti” – confessa sorridendo il diretto interessato – “non so quando e dove si concluderà la mia avventura nel calcio giocato. Immagino comunque tra non molto, tant’è che sto già pensando al dopo, nel senso che non mi dispiacerebbe allenare. In realtà ci ho già provato, con i portieri delle giovanili, ma ho dovuto sospendere perché era davvero dura riuscire a conciliare gli orari di lavoro con quelli degli allenamenti, personali e dei ragazzi. È stata comunque una bella esperienza, che non escludo di riprendere quando avrò più tempo libero a disposizione”.

Di fare il pensionato, insomma, non se ne parla…

“In effetti, essendo nonno di una bellissima bimba di nome Helena, le occasioni non mancherebbero, ma per portarla al parco c’è tempo: aspetto che cresca ancora un po’…”