di Stefano De Cristofaro
Per allenare certe squadre non basta avere il patentino, sapere di tattica calcistica e, magari, essere un buon preparatore atletico. Per allenare certe squadre occorrono anche qualità di ben altro tipo: una predisposizione naturale verso il prossimo, sapersi confrontare con i propri giocatori dal punto di vista psicologico ed emotivo, aver subito sulla propria pelle esperienze di vita, a volte devastanti.
Tutte qualità che, per fortuna o per disgrazia, fanno parte del bagaglio personale di Vittorio Di Meco, il protagonista di questa puntata. La sua, infatti, è una “storia” che merita di essere raccontata. Non solo per il suo personale vissuto, ma per la squadra che da cinque anni a questa parte ha l’onore e l’onere di allenare, ovvero la Libertas Stanazzo, formazione di calcio a cinque militante nel campionato provinciale di serie D.
«Ma quale onere» – le sue prime parole – «io posso solo ringraziare questi ragazzi e chi mi ha offerto l’opportunità di guidarli, facendomi scoprire un mondo che non conoscevo o, per meglio dire, del quale avevo una opinione del tutto distorta rispetto alla realtà poi riscontrata».
L’arcano è presto svelato: la Libertas Stanazzo infatti è sì una squadra di futsal, ma con una particolarità del tutto originale: quella cioè di essere interamente composta da detenuti della Casa Circondariale di Villa Stanazzo (da cui il nome del club), sorta anni fa nei pressi dell’omonima frazione alle porte di Lanciano.
Città di origine del 71enne Di Meco, in grado di vantare le più diverse esperienze: calcistiche (da giocatore e arbitro, oltre che da allenatore, di recente impegnato anche nel gruppo Pulcini della Virtus Castel Frentano) ma non solo. Tra queste ultime figurano infatti altre attività quali quelle di scrittore (ben venti i libri da lui pubblicati e un ruolo di collaboratore nella casa editrice Nuova Gutemberg), attore di teatro e, a tempo perso, anche di cantante, essendo parte integrante della Grey’s Band, un gruppo specializzato nel rhythm and blues.
Insomma, un personaggio poliedrico e non sempre, come detto, baciato dalla fortuna. Che dopo avergli strappato, nel 2005, un figlio appena 17enne (il cui nome, Marcello, ricorre spesso nelle svariate attività, per lo più benefiche, da lui messe su), gli ha portato via, più di recente e a causa del Covid, anche l’altrettanto amata moglie Stefania.
«Non è facile, ma la vita deve andare avanti. Nel ricordo di chi non c’è più ma anche a favore di chi, quotidianamente, riempie le mie giornate».
Evidente il riferimento ai ragazzi della Libertas Stanazzo, conosciuti per puro caso, non molto tempo fa. «Nel 2017» – svela lo stesso Vittorio Di Meco – «a seguito di una delle tante iniziative benefiche portate avanti dagli “Amici di Marcello” (l’associazione di volontariato dedicata al figlio scomparso, ndr), organizzammo una raccolta fondi per l’acquisto di alcuni defibrillatori da donare ad altrettanti Comuni della zona, e uno di questi fu consegnato anche alla Casa Circondariale di Villa Stanazzo.
Una realtà che, al pari di tanta altra gente, conoscevo solo dall’esterno. Ebbene, in quella particolare occasione, essendo a conoscenza dei miei trascorsi da allenatore ed essendo già presente all’interno dell’istituto una squadra di calcio a cinque, mi fu chiesto se me la sentivo di allenare questi ragazzi, dato che il mister di allora, Pio Fiore Di Vincenzo, in procinto di andar via Senza pensarci su diedi subito mia disponibilità e fu così che, quando a distanza di qualche settimana venni ricontattato, prese il via questa nuova esperienza, che non esito a definire straordinaria. Soprattutto dal punto di vista umano».
Si spieghi meglio.. «Cominciamo col dire che l’opportunità di conoscere dall’interno certe dinamiche mi ha fatto capire quanto distorta fosse l’immagine che ne avevo prima. Una sorta di puzza sotto il naso, la mia, scomparsa nell’esatto momento in cui, varcato il cancello d’ingresso, sono venuto a contatto con un’umanità tanto variegata quanto disponibile. Fatta di gente che avrà certamente sbagliato nella vita ma che, oltre a pagare sulla propria pelle gli errori commessi, rivela una sensibilità di gran lunga superiore a chi sta fuori».
Facile immaginare come, in questi anni, siano nati anche dei rapporti di amicizia con questi calciatori così particolari: «Sicuramente, anche se non è una cosa facile. E non tanto per mancanza di volontà reciproca, quanto per difficoltà oggettive, legate ad una fisiologica rotazione dei ragazzi, tra chi va via avendo scontato la propria pena e chi, invece, viene più semplicemente destinato altrove».
Qualche eccezione ci sarà pure stata… «Ne cito una, di un ragazzo che mi sta particolarmente a cuore. Un ex detenuto che dopo aver trascorso sette anni in istituto, aveva deciso di stabilirsi, con la sua fidanzata, a Lanciano, avendo persino trovato occupazione in un’azienda locale. Il problema però era che, essendo sprovvisto di patente, aveva difficoltà negli spostamenti, visto che d’inverno muoversi con la bici non era certo l’ideale. Un problema che rischiava però di fargli perdere il lavoro e così, dato che eravamo rimasti in contato anche dopo la comune esperienza calcistica, mi sono offerto, per alcuni mesi e in attesa di una soluzione alternativa, di accompagnarlo e andare a riprenderlo nel tragitto tra l’azienda e la sua casa».
É vero che per molti di questi ragazzi lei rappresenta una sorta di secondo padre? «Mi piace pensare che sia così e per uno con la mia storia, creare un certo tipo di rapporti con loro è davvero gratificante. Tanto che da questa esperienza è nato anche un libro “La libertà in un pallone”, al momento circoscritto all’interno dello stesso istituto ma chissà che un giorno non possa essere dato alle stampe…».
La sua settimana tipo sulla panchina della Libertas Stanazzo? «Semplicissima: la squadra sostiene abitualmente due sedute di allenamento ogni martedì e giovedì pomeriggio, propedeutiche alle successive partite del sabato».
Che per ragioni facilmente intuibili si svolgono sempre e solo nel campetto in cemento presente all’interno della struttura penitenziaria. «Per forza di cose, e a tal proposito» – prosegue Di Meco – «ci tengo a ringraziare di cuore tutte le altre squadre, che pur di far praticare questa attività ai nostri ragazzi (la cui età va dai 18 ai 40 anni, ndr) si sottopongono all’inevitabile serie di adempimenti burocratici, ogni qual volta vengono a giocare qui da noi. Altri ringraziamenti doverosi vanno poi al dottor Campitelli, l’educatore addetto alle attività interne dell’epoca dal quale è nato il tutto, così come a coloro che nel corso dei vari anni si sono succeduti alla direzione della struttura dando continuità al progetto. E non vanno poi dimenticati gli agenti di custodia, alcuni dei quali danno una mano alla buona riuscita degli eventi, trattenendosi spesso e volentieri oltre il loro orario di lavoro, così come lo stesso comitato regionale della Figc Abruzzo, che tanto si è speso a favore della suddetta iniziativa».
Non a caso, in occasione della conferenza stampa con cui, a metà ottobre, presso la stessa Casa Circondariale frentana è stata salutata la ripartenza (post Covid) del progetto “Mettiamoci in gioco”, a fare gli onori di casa, accanto ai vertici del comitato della Figc ( rappresentato dal presidente Ezio Memmo e dal responsabile regionale per il calcio a 5 Salvatore Vittorio), c’era proprio il numero uno della LND, ovvero il presidente nazionale Giancarlo Abete, per l’occasione accompagnato dal consigliere nazionale della Figc Daniele Ortolano.
Tornando a Di Meco, quali sono i vostri obiettivi per la stagione in corso? «Dopo un inizio un po’ in sordina, nel corso degli ultimi anni siamo riusciti a creare una squadra competitiva, capace di sfiorare in due occasioni la promozione in C2 e mai piazzatasi, comunque, al di sotto del terzo posto. Intendiamo quindi quanto meno ripeterci e le premesse per farlo ci sono tutte, dato che, rispetto al passato, pur avendo meno individualità di spicco, posso fare affidamento su un organico sì più livellato, ma ampio e meglio assortito.
Anche se a dire il vero» – confessa in chiusura mister Di Meco – «l’obiettivo a cui teniamo di più è la Coppa Disciplina. Peraltro già conquistata in due occasioni (negli ultimi sei anni, ndr) e che, a conti fatta, oltre ad essere il vero fiore all’occhiello di questa squadra, rappresenta a tutti gli effetti una sorta di riscatto morale dei suoi componenti».
Nel frattempo, i suoi ragazzi hanno iniziato nel migliore dei modi la stagione, collezionando sei punti nelle prime due giornate di campionato (14 gol fatti, 3 subiti) frutto dei successi conquistati a spese di Sant’Eusanio e Scerni, mentre è stata rinviata la gara col Real Archi, in programma nel terzo turno.