di Stefano De Cristofaro
Il 3 aprile 2014, esattamente dieci anni fa, ci lasciava Massimo Scalingi.
Un addio tanto prematuro quanto tragico, da parte di uno dei calciatori più longevi e prolifici dell’intero panorama dilettantistico abruzzese.
E ancora oggi, a distanza appunto di un decennio, sono in tanti a ricordarne le qualità umane e sportive: non solo i suoi compagni d’avventura nelle varie squadre che ne caratterizzarono l’attività agonistica, ma anche coloro che ebbero modo di confrontarsi con lui da avversari.
In particolare i difensori, per i quali Massimo rappresentava del resto un vero e proprio incubo.
Una carriera costellata, come detto, da caterve di gol: alla fine se ne conteranno ben cinquecento uno (da lui stesso ricordati in un post pubblicato sul proprio profilo Facebook un paio di mesi prima della sua scomparsa), molti dei quali messi a segno a un’età nella quale la maggior parte dei colleghi aveva da tempo appeso le scarpette al chiodo, per intraprendere altro o restare nel mondo del calcio con ruoli dirigenziali o tecnici.
E in effetti, a vederlo in azione si stentava a credere che quello in campo fosse un atleta di oltre cinquant’anni, dimostrandone per aspetto fisico e continuità di gioco almeno una ventina di meno.
«In tutta sincerità non mi ci vedo a giocare tra gli Amatori e finché la voglia e la salute mi assisteranno conto di continuare in ambito dilettantistico, non pretendendo ovviamente un posto da titolare».
Queste le sue dichiarazioni in un’intervista risalente agli inizi del 2012, quando vestiva la maglia del Castel Frentano (formazione partecipante al campionato di Prima categoria), società per la quale ricopriva anche i ruoli di presidente e allenatore.
Insomma, quel che si dice un uomo di calcio a 360°, sorretto da una smisurata passione per questa disciplina, alla quale univa un altrettanto ferrea forza di volontà, evidentemente venuta meno solo nell’ultimissimo periodo della sua esistenza.
Trentasei anni circa di ininterrotta attività agonistica per oltre mille disputate, a cominciare da quelle che, appena sedicenne, lo videro esordire in Promozione con la maglia del Castel Frentano, suo paese natale.
Innummerevoli, pertanto, i ricordi nel frattempo collezionati, e quasi sempre belli.
Uno su tutti: quello relativo al periodo, pur breve, vissuto nelle file del Foggia, arrivando a disputare, all’età di soli vent’anni, anche due gare in serie B nel corso della stagione 1981/1982, peraltro scandita anche da una presenza in panchina a San Siro, in occasione della sfida che vedeva i “satanelli” opposti al Milan, relegato quell’anno tra i Cadetti.
In Puglia Scalingi si tratterrà per quasi un triennio, togliendosi pure lo sfizio di segnare un gol in Coppa Italia, allo stadio Friuli contro l’Udinese del campione brasiliano Zico.
Breve ma intensa anche l’esperienza nel Foggia allenato da Zdenĕk Zeman, con il quale ebbe modo di svolgere tutta la preparazione estiva (compresi i famosi “gradoni” dello Zaccheria…) prima di trasferirsi altrove, essendo in lui prevalente il desiderio di giocare con una certa continuità rispetto alla categoria d’appartenenza.
Continuità che troverà infatti in altre piazze, distinguendosi un po’ ovunque per dedizione alla causa e, ovviamente, per i gol.
Tantissimi, realizzati praticamente in tutte le categorie e con le maglie più disparate: quelle di città quali Mazara del Vallo, Spoleto, Isernia, Terni, Bastia Umbra, prima del ritorno in Abruzzo.
Ed è proprio nella sua terra d’origine che Massimo darà il meglio di sé sotto il profilo prettamente realizzativo, riuscendo ad aggiudicarsi in più di un’occasione l’ambito titolo di capocannoniere.
L’ultimo delle serie conquistato a quarantatré anni suonati nelle file dell’Altinese 2000 e nel campionato di Seconda categoria, chiuso con la bellezza di trentasette reti all’attivo.
Cifra, questa, che gli valse anche il titolo di superbomber d’Abruzzo di quella stagione (2003/2004), del quale andava fierissimo, quasi al pari dei diciannove gol messi a segno tre anni dopo (ovvero da quarantaseienne), nel campionato di Promozione.
La sua, insomma, è un’assenza che fa rumore, e che nel decennale della scomparsa ci è parso quantomeno doveroso ricordare.
Non solo ai tanti che hanno avuto la fortuna e il privilegio di conoscerlo personalmente, ma anche a coloro i quali, invece, ne hanno solo sentito parlare.
Ovviamente bene…